Flavia Spasari
TRANSPOSE
Inaugurazione: 11 marzo ore 18.00
Esposizione: 12 marzo – 19 maggio 2023
L’essere umano è un produttore evolutivo di prodigiosa efficacia. Biodiversità e adattamento sono assemblate nella fabbricazione del mantenimento e proliferazione della specie, che ha saputo/voluto plasmare la circostanza per farne un habitat. A tal punto da modellare l’ambiente naturale per scopo e utilità. Da ciò deriva una partecipazione che è diventata forma di pensiero: l’antropocentrismo. Il perno dell’Universo è l’uomo: in teoria, religione o atti. La sua stessa produzione (oggetto come rappresentazione identitaria) è una testimonianza, alle volte perfino archeologica, del suo passaggio. Una “passeggiata” sul prato della storia che non è mai stata così soppesata come negli ultimi decenni. Un’esistenza che nelle valutazioni dell’artista Flavia Spasari (Chiaravalle Centrale (CZ), 2000) è constatazione applicata al rimasuglio, resto mai così fisico della morte. Un trapasso che è oggetto scartato, lasciato o abbandonato, un corpo che si trasforma in cascame separato dalla sua fonte naturale ma ricollocato inconsapevolmente come nuova forma. Forma che possiede tempi, meccanismi ed evoluzioni dove l’essere umano è esentato dall’impiccio. In sostanza, natura oltre l’uomo, in una faglia che ci separa dall’origine. L’ottenimento è nuova vita. Forse, nel pensiero umano, un paradosso che ci appare inconcludente. Niente affatto. I lavori e i pensieri della Spasari c’è lo dimostrano, in una resa che non è previsione futura o fantasmagoria ma concreto presente. L’artista ci porta un pianeta che ha saputo sviluppare un’esperienza lontana dal naturale divenendo artificiale, mischiando incrostazioni tecnologiche con elementi vegetali o animali, generando forme e figure che mantengono la funzione mnemonica del materiale. Sono corpi per mezzo dell’uomo ma che di esso hanno ottenuto di farne a meno, mostrandosi non come ibridi ma autorevoli elementi da decodificare. Sono bronzo, piombo e catrame, come marmo, cavi, ferro e perfino parti di corpo ricalcate sulla pelle dell’artista che come deriva si sono allontanate dalla generatrice, in un’intima deprivazione. Hanno estetica animale, naturale o tradizionalmente conosciuta, ma sono un altro da ricomprendere. Sono organismi che ormai persistono e si modificano, in una non più inedita rappresentazione e, come sa denotare l’artista, proliferano, divergendo dall’attenzione del creatore.