Giornata internazionale dell’uomo
(Ma esiste? Sì, esiste!)
Francesca Arri, Giulia Cotterli, Barbara Fragogna,
Serena Gamba, Liana Ghukasyan, Eleonora Manca,
Federica Peyrolo, Maya Quattropani, Elena Tortia
Inaugurazione: 19 novembre dalle ore 16
Esposizione: 20 novembre – 12 dicembre 2021
Negli anni ottanta del Novecento, celebrare l’uomo era ancora una questione fallica ricercata dalla goliardia. Di retaggi storici ve ne erano in abbondanza e in qualsiasi continente si adocchiasse. Ma era in fondo l’abbrivio di una temperie culturale che si era soprattutto incarnata nelle nuove generazioni femminili che erano il terminale di una catena fatta di ondate sociali, rivendicazioni, cultura e contestazioni femministe. Il maschilismo ed il patriarcato da cui sovente derivava, avevano giocato un ruolo capitale nell’appiccare la presa di coscienza delle donne, prima nel Settecento, poi nell’Ottocento ed infine nel secolo scorso dove si attestò la narrazione di un principio diverso che aveva sul finire degli anni novanta innestato un germoglio filosofico maschile alternativo. L’8 febbraio del 1991, il professor Thomas Oaster ritenne matura la consapevolezza per una giornata internazionale dell’uomo. Eravamo in Kansas, all’Università del Missouri ed era un concetto a cui otto anni dopo si accoderà in Trinidad e Tobago, isola caraibica non sempre facile da individuare geograficamente, Jerome Teelucksingh che la riterrà pronta da essere proposta al mondo. Scelse la data del 19 novembre, giorno di nascita di suo padre. Ad oggi i paesi che hanno introdotto questa ricorrenza sono una cinquantina, compresa l’Italia che dal 2013 la prevede anche se nella quasi segretezza nazionale, supportata dall’ignoranza dei maschietti nostrani. Che cosa è cambiato per giungere a questo risultato? È la domanda corretta? Tralasciando le scaramucce di fazione, è d’obbligo prendersi a carico (soprattutto in quota maschile) la transizione ad una maggiore e riallineata consapevolezza della figura dell’uomo, soprattutto nelle sue inesattezze, private e pubbliche. Dall’educazione (perno dell’evoluzione e flagello se adoperata malignamente o carica d’ignoranza), alla constatazione sessuale, alla redistribuzione dei compiti civili e sociali, alla presa di coscienza di una cultura allargata includente questioni e argomenti femministi, alla riconsiderazione della sensibilità maschile, alla diversità di genere, alle lotte istituzionali e giuridiche, in ogni anfratto si cela una sufficienza o connivenza con il pressapochismo o peggio, con una malridotta considerazione macistica e antistorica della società odierna. Dunque nell’atto di avviare questa collettiva che la Galleria sente come un naturale percorso di crescita, si è accantonata la prudenza e la logica della curatela come faro di navigazione. La civiltà italiana contemporanea ha trascolorazioni impossibili da recintare nel corso di una mostra. L’istinto ci ha portato a disattendere le prime aspettative per avviarci verso un’esposizione femminile che prendesse le mosse dal concetto della parola uomo e del diffondersi del concetto attraverso le opere. Ovvio domandarsi perché partire dalle donne per parlare di uomini. Non si rischia la banalità? La Galleria proviene da una esperienza ormai datata ma che è proseguita carsicamente: il lavoro e l’analisi della condizione femminile (ed in parte del femminismo) in collaborazione con la Casa delle Donne di Torino. La mostra che ne derivò fu un tarlo che influenzò sovente le scelte degli anni a venire. Difficile infatti non convincersi che se nella storia, l’uomo abbia “riservato” alle donne una piazzola di partenza svantaggiata, l’attualità mostri costantemente un’insicurezza maschile frutto di mancato approfondimento e aggiornamento. Paradossale, ma solo per contrapposizione, che il miglioramento giunga per contrasto o coercizione senza che ne derivi una filosofia estesa e chiara a cui, soprattutto le giovani generazioni, possano attingere. Il risultato è una immaginaria sala d’attesa in cui gli uomini attendono il da farsi, quasi disinteressati. Ma ciò avviene solo sul piano culturale perché nella progettazione di ogni giorno, la corrente uomo ha, ancora, il peso dominante. Dunque se ne intuiscono le problematiche e i danni che tale andazzo continua ad infliggere al tessuto sociale e alla perdita di opportunità che il traccheggiare o l’incertezza imprime al genere maschile. Ci sono sfaccettature che vanno sunteggiate attentamente se vogliamo implementare la civiltà del nostro paese. L’arte ha l’indubbio vantaggio di rendere materia ciò che la mente intuisce. Una visibilità che siamo certi si possa riportare in parole e concetti.